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TAR Campania, Napoli, II sezione (Pres. Onorato, Est. Guerriero), sent. n. 10863/04 Reg.Sent.

** (Avv. Alessandro Biamonte - Avv.ti F. e A. Iadanza) c. Comune di Quarto.

EDILIZIA E URBANISTICA – PERMESSO DI COSTRUIRE – NOTA CON CUI SI COMUNICA ACCOGLIMENTO DELL’ISTANZA UNITAMENTE AL PARERE DELLA COMMISSIONE EDILIZIA – CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO – SUSSISTE.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione II, composto dai Signori:

1) Dott. Antonio Onorato              Presidente

2) Dott. Francesco Guerriero        Consigliere rel.

3) Dott. Vincenzo Cernese            I Referendario  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1178/2003 proposto dal sig. ***, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Franco Iadanza, Alfredo Iadanza e Alessandro Biamonte, presso il cui studio in Napoli alla via Duomo, n. 348, è elett.te domiciliato,

CONTRO

il Comune di Quarto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso prima dall’avv. Gaetano Montefusco e poi, in sostituzione, dall’avv. Vincenza Franco, con studio in Napoli alla Via Ugo Ricci, n. 19,

per l’annullamento

della nota, prot. n. 1739, del 2.12.2002 recante il diniego sull’istanza di concessione edilizia proposta in data 12.3.1992,

e per il riconoscimento

del diritto del ricorrente ad ottenere il materiale rilascio del titolo formale rappresentante la concessione edilizia già assentita dal Sindaco di Quarto con il provvedimento del 12.3.1992,

e la condanna

al risarcimento del danno.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 24.6.2004 la relazione del Consigliere Dott. Francesco Guerriero;

Uditi altresì i difensori, come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con il gravame in epigrafe, notificato il 29.1.2003 e depositato il 5.2.2003, il ricorrente ha impugnato la nota del 2.12.2002 dell’ingegnere Capo del Comune di Quarto, con cui viene respinta la sua domanda di concessione edilizia richiesta in data 31.10.1991.

A sostegno dell’impugnativa ha dedotto la seguente censura: eccesso di potere per carenza dei presupposti, contraddittorietà, violazione e falsa applicazione della legge n. 10/1977, violazione dell’art. 31 della legge n. 1150/42.

Con atto depositato in data 20.9.2002si è costituito in giudizio il Comune intimato, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

In data 11.2.2004 si costituisce in giudizio per il Comune, in sostituzione del precedente di difensore, l’avv. Vincenza Franco.

Con atto depositato in data 7.4.2004 ha proposto intervento <ad adiuvandum> il sig. ***, promissario acquirente.

Con memorie difensive del 20.2.2004 e dell’11.6.2004, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 24.6.2004 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorrente in data 31.10.1991 chiedeva al Comune concessione edilizia per la realizzazione di due fabbricati per civili abitazione.

Con nota del 12.3.2000 il Sindaco comunicava all’interessato che, a seguito dell’esame del progetto e di parere favorevole espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 6.3.1992, la domanda era stata accolta.

Senonché, come espone il ricorrente, nelle more del rilascio del titolo, la pratica, insieme ad altre, era soggetta a sequestro giudiziario da parte della Procura della Repubblica di Napoli. Ciò impediva l’espletamento degli adempimenti formali in ordine al completamento della pratica stessa.

Inoltre, aggiunge l’istante che con sentenza n. 2071 del 7.4.2002 della Corte di Appello di Napoli, che però omette di allegare, gli Amministratori del Comune venivano assolti; sentenza che è passata in giudicato per omessa impugnazione nei termini.

Perciò, il ricorrente, cessata la causa impeditivi, con atto stragiudiziale notificato l’11.8.2000 chiedeva il rilascio del titolo formale di concessione edilizia, ma l’Ingegnere Capo del Comune adottava l’impugnato atto di rigetto della richiesta inoltrata a suo tempo.

2.- Tale atto è illegittimo, sotto il profilo denunciato dal ricorrente.

Invero, va ricordato che, per costante giurisprudenza, la comunicazione del Sindaco del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia sull’istanza di concessione edilizia equivale al rilascio del titolo abilitativo (C. S., Sez. V, 20.5.1993, n. 606); ciò specie allorquando, come nel caso di specie, la comunicazione del parere favorevole della Commissione stessa non contiene alcuna limitazione sostanziale (TAR Sicilia, Sez. II, 22.5.1989, n. 280).

Va precisato che con la comunicazione del 12.3.1992 il Sindaco fa presente, addirittura, che <a seguito del esame del progetto e di parere favorevole espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 6.3.1992> la domanda di concessione <è stata accolta>.

Di talché, la nota sindacale non si esaurisce in una semplice comunicazione del parere positivo espresso dalla competente Commissione, ma si sostanzia, senza ombra di dubbio, in un vero e proprio provvedimento di rilascio della concessione da parte del Sindaco, tenuto anche conto che non è stato apposto alcun tipo di condizione o prescrizione.

In altri termini, giusta quanto dedotto dal ricorrente, dal tenore letterale della comunicazione si può dedurre inequivocabilmente il carattere provvedimentale insito nella nota stessa, avendo il Sindaco fatto propria la valutazione positiva espressa dalla Commissione edilizia.

3.- Da quanto sopra discende, quindi, che l’atto impugnato si pone evidentemente in chiaro contrasto con il precedente provvedimento, in quanto denega una concessione edilizia già assentita.

Con tale atto, infatti, il Comune, presupponendo non ancora definito il procedimento relativo alla richiesta del ricorrente, ha finito con il privare di efficacia, disapplicandolo, un atto, invece, esistente e pienamente efficace, alla cui esecuzione l’interessato, destinatario dell’atto stesso, vantava una pretesa giuridicamente tutelata.

Risulta evidente come il Comune ben avrebbe potuto ritornare sulle proprie determinazioni precedentemente assunte, rimettendo in discussione l’assetto degli interessi cui in precedenza era pervenuta, riassunto in un provvedimento perfetto ed efficace, ma ciò avrebbe potuto farlo solo ricorrendo ad un provvedimento di autotutela, attraverso un autonomo procedimento, che nella specie non è stato mai posto in essere.

E’ vero che si tratta di un provvedimento di rilascio della concessione edilizia risalente al 1992, ma è altrettanto certo che, come si è detto, la pratica fu oggetto di sequestro giudiziario, sicché si è verificata una sorta di sospensione forzosa per <factum principis>. Pertanto, una volta cessata la causa di sospensione (con l’assoluzione degli Amministratori), il procedimento avrebbe dovuto riprendere nello stesso punto in cui era stato sospeso.

In particolare, nella specie, il Comune avrebbe dovuto limitarsi a rilasciare il titolo formale ovvero, qualora ne ricorressero i presupposti, a dar inizio, nei modi e nelle forme prescritti, al procedimento di annullamento dell’atto di rilascio della concessione di cui alla nota del 12.3.1992, giammai a respingere, come ha fatto, la richiesta del ricorrente, tenuto altresì conto che non è ammissibile un annullamento (o anche revoca) implicito di un atto amministrativo.

4.- Per quanto concerne la domanda di risarcimento dei danni, essa non può trovare accoglimento per mancanza di prova.

5.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, il ricorso va accolto limitatamente all’annullamento dell’impugnato provvedimento.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione II, accoglie il ricorso in epigrafe nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina all’Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 24 giugno 2004.

Dott. Antonio Onorato             Presidente

Dott. Francesco Guerriero      Consigliere est.

 

Segue la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha confermato la decisione

 

REPUBBLICA ITALIANA

N.3594/2005

Reg. Dec.

N. 10493 Reg. Ric.

Anno 2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 10493 del 2004, proposto da

COMUNE di QUARTO,

in persona del Sindaco p.t.,

rappresentato e difeso dall’avv.to Lerio Miani ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Luigi Napoletano, in Roma, viale Angelico, 38,

OMISSIS

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. II, n. 10863/04.

OMISSIS

F A T T O

L’odierno appellato sig. ***, proprietario di un’area sita in Comune di Quarto, impugnava dinanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, la nota prot. n. 1739/UT del 2 dicembre 2002, con cui l’Ingegnere Capo del Comune comunicava il diniego della concessione edilizia da lui richiesta in data 31 ottobre 1991 per la costruzione di un fabbricato per civile abitazione.

Il Comune di Quarto si costituiva in giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.

Proponeva intervento ad adiuvandum il sig. ***, quale promissario acquirente della detta area.

Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso ed annullava il provvedimento impugnato.

Il Comune di Quarto appella la sentenza, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

Resistono all’appello, chiedendo la conferma della sentenza gravata, tanto l’originario ricorrente quanto il soggetto intervenuto ad adiuvandum dello stesso nel giudizio di primo grado.

Con Ordinanza n. 488/05, pronunciata nella Camera di Consiglio del 1 febbraio 2005, è stata accolta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza fissata per la discussione del mérito, l’appellato sig. Ferro ribadisce le sue tesi difensive, insistendo per il rigetto del gravame.

    La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 10 maggio 2005.

D I R I T T O

1. – Il Comune di Quarto appella la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la II Sezione della sede di Napoli del T.A.R. per la Campania, su ricorso dell’odierno appellato sig. ***, ha annullato la nota prot. n. 1739/UT del 2 dicembre 2002, con cui l’Ingegnere Capo del Comune comunicava il diniego della concessione edilizia da lui richiesta in data 31 ottobre 1991 per la costruzione di un fabbricato per civile abitazione.

Il T.A.R. ha ritenuto la illegittimità dell’anzidetto provvedimento sotto il profilo, ritualmente denunciato con il ricorso di primo grado, secondo cui l’impugnato rigetto della domanda di concessione edilizia risulterebbe viziato, giacché il procedimento avviatosi con la domanda di concessione per lavori edili, di cui alla pratica edilizia n. 260/91, doveva considerarsi definitivamente concluso con la nota del Sindaco in data 12 marzo 1992, con la quale si comunicava all’interessato che “a seguito dell’esame del progetto e di parere FAVOREVOLE espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 4.3.92, la medesima è stata accolta alle seguenti condizioni e prescrizioni …” e che “si sostanzia, senza ombra di dubbio, in un vero e proprio provvedimento di rilascio della concessione da parte del Sindaco, tenuto anche conto che non è stato apposto alcun tipo di condizione o prescrizione” ( pag. 5 sent. ); “da quanto sopra discende”, prosegue il Giudice di primo grado, “che l’atto impugnato si pone evidentemente in chiaro contrasto con il precedente provvedimento, in quanto denega una concessione edilizia già assentita” ( ibidem ).

2. - L’appello è infondato e va respinto.

3. – Nei confronti del gravame originario l’atto stesso solleva anzitutto eccezione di inammissibilità, sostenendo che “i primi giudici avrebbero dovuto rigettare il ricorso proposto dal Verde, dichiarandolo inammissibile per carenza di interesse perché quest’ultimo non ha impugnato a suo tempo il vigente P.R.G. approvato con Decr. Pres. Prov. Na n. 291 del 18.11.1994, regolarmente pubblicato in G.U., né ha formulato, in sede di adozione, le prescritte osservazioni, avendo il nuovo strumento urbanistico … ridotto, rectius azzerato, ogni possibilità di edificazione” ( pag. 10 app. ).

L’eccezione non coglie nel segno, rivelandosi radicalmente infondata, atteso che il ricorrente originario, odierno appellato, non aveva e non ha alcun interesse alla impugnazione di uno strumento urbanistico, di cui sostiene la assoluta inapplicabilità al procedimento di rilascio di concessione edilizia che lo riguarda: e ciò per essersi il titolo abilitativo cui aspirava formato, secondo la sua prospettazione portata al vaglio di questo Giudice, anteriormente a detta sopravvenienza normativa.

Tantomeno, poi, una qualche preclusione processuale alla impugnazione dell’atto di cui si tratta può derivare, come pretende l’appellante, dalla mancata presentazione, a suo tempo, da parte dell’odierno appellato sig. Verde, di osservazioni nel procedimento di formazione del nuovo P.R.G. e ciò sia per le ragioni d’ordine sostanziale appena sopra delineate (attinenti all’effettività dell’interesse sottostante ed all’assenza di qualsiasi lesione giuridicamente apprezzabile, che all’interessato, in relazione alle sue pretese, possa considerarsi derivare da detto P.R.G.), sia perché è pacifico in giurisprudenza il carattere di mero apporto collaborativo delle osservazioni medesime, che non costituiscono in alcun modo un ònere per l’interessato, sì che la mancata sua partecipazione a detto procedimento non rappresenta in alcun modo acquiescenza e non determina preclusione alcuna quanto alla futura impugnazione dello strumento urbanistico stesso e/o di suoi atti applicativi.

Pure infondata, poi, si appalesa l’eccezione di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum dispiegato in primo grado dal sig. *** sul presupposto di essere promissorio acquirente dell’appezzamento di terreno interessato dal giudizio de quo; eccezione, con la quale si solleva tanto la questione di pretesa tardività dell’atto stesso, sia quella della assenza di dimostrazione della sussistenza, in capo all’interveniente, dell’interesse relativo, non essendo all’uopo sufficiente, si afferma, “l’esibizione di un preliminare di vendita peraltro non avente data certa e come tale non opponibile” (pag. 11 app.).

Rileva, in proposito, il Collegio che la figura di promissario acquirente di terreni interessati da una richiesta di concessione edilizia, se non implica l’esistenza di una posizione di interesse legittimo utile a rendere ammissibile l’impugnazione di un provvedimento di diniego della concessione stessa, radica comunque una posizione dipendente da quella del ricorrente principale, ad adiuvandum del quale può dunque essere legittimamente dispiegato intervento in giudizio, che, se ed in quanto non miri ad eludere i términi di impugnazione da parte di chi risulti titolare di una posizione tutelabile con una propria autonoma impugnativa ( il che non è, come s’è detto, nel caso di un promissario acquirente di un terreno interessato a detto tipo di richiesta ), non è soggetto ad alcun términe decadenziale, che non sia quello, di cui all’art. 23, comma 4, della l. T.A.R., fissato per la produzione di documenti ad opera delle parti; términe, questo, che risulta nella fattispecie peraltro rispettato.

Quanto alla prova della sussistenza dell’interesse all’intervento, valga ricordare che la posizione di promissario acquirente di un immobile è quella che discende dalla titolarità di un rapporto obbligatorio, che trova la sua fonte nel c.d. contratto preliminare di compravendita, che pertanto rappresenta prova idonea della sussistenza di detto rapporto; a detto contratto vale peraltro a conferire  “data certa”, ai fini che ne occupano, il deposito stesso in giudizio, quale “fatto che stabilisc[e] in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento” (art. 2704 cod. civ.), essendo sufficiente, ai fini della dimostrazione della legittimazione dell’interveniente in giudizio, che il sottostante interesse sussista al momento della costituzione del rapporto processuale, che interviene col deposito, ex art. 22, comma 2,  della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.         

4. – Nel mérito, come s’è detto, il ricorso si palesa infondato.

4.1 – Il presente giudizio ruota, invero, intorno all’unica questione della qualificazione giuridica da assegnare alla nota sindacale in data 12 marzo 1992, con la quale, come s’è visto, veniva comunicato all’interessato che “a seguito dell’esame del progetto e di parere FAVOREVOLE espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 4.3.92, la medesima è stata accolta alle seguenti condizioni e prescrizioni …”, aggiungendosi in conclusione che “contro la determinazione suddetta è ammesso ricorso in sede giurisdizionale al Tribunale Amministrativo Regionale, ai sensi dell’art. 16 della Legge 28.1.77 n. 10”.

Ove, infatti, come sostenuto con il ricorso originario e condiviso dal T.A.R., la stessa venga ritenuta equivalente a concessione edilizia, il provvedimento di diniego impugnato finirebbe “con il privare di efficacia, disapplicandolo, un atto, invece, esistente e pienamente efficace, alla cui esecuzione l’interessato, destinatario dell’atto stesso, vantava una pretesa giuridicamente tutelata” ( pag. 5 sent. ).

La tesi accolta dal Giudice di primo grado va ritenuta corretta.

Il Collegio non ignora la giurisprudenza formatasi dopo l’entrata in vigore della legge n.10/1977, secondo cui la comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione comunale edilizia è inidonea a produrre gli effetti giuridici proprii della concessione edilizia. 

A differenza, infatti, che nel previgente ordinamento - ove il principio di libertà delle forme consentiva la sostanziale equiparazione della comunicazione del parere favorevole della commissione edilizia comunale al rilascio della licenza edilizia - nel regime introdotto dalla legge 28.1.1977, n. 10 non possono essere considerati equipollenti al rilascio della concessione meri atti interlocutori del procedimento, quale la comunicazione del parere della commissione edilizia.

Per costante giurisprudenza amministrativa, l'art. 4, comma 3, della legge n. 10 del 1977 ( che prescrive per la concessione edilizia il requisito formale dell'indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori ) e l'art. 11 della stessa legge ( che fissa al momento del rilascio della concessione la determinazione e la parziale corresponsione del contributo di costruzione ) costituiscono disposizioni tali da escludere che nel nuovo regime normativo, a differenza di quanto ritenuto nel vigore del precedente regime, l'emissione del parere favorevole della commissione edilizia sull'istanza di concessione e la sua comunicazione da parte del sindaco possano equivalere a rilascio del titolo.

Detto orientamento è peraltro condiviso dalla Corte di Cassazione, che ha espresso tale avviso sia in sede civile sia penale ( Cass. civ., Sez. III, 11/12/2000, n. 15578; Cass. pen., Sez. III, 10/02/1999, n. 559 ).

E' stato in particolare ritenuto che la mera comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale non può considerarsi equivalente al rilascio della concessione edilizia, che è un atto formale di competenza del sindaco e conclusivo di un procedimento avviato con la domanda dell'interessato; l'autorizzazione di altri organi ed il parere favorevole della Commissione edilizia comunale hanno soltanto valore di atti preparatorii, che non possono sostituire la concessione edilizia, né possono giustificare una pretesa buona fede di colui che costruisca.

Nella giurisprudenza amministrativa è peraltro orientamento costante e consolidato quello che ravvisa nel parere della commissione edilizia comunale un atto interno al procedimento amministrativo di rilascio della concessione di costruzione, la comunicazione del quale all'interessato non equivale all'adozione di quest'ultima, che può essere rilasciata dal sindaco solo in esito alla procedura specifica sancita dagli artt. 4 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e tale da non ammettere equipollenti; ciò in quanto il parere de quo non contiene alcuni elementi essenziali, quali i termini di inizio ed ultimazione dei lavori o la determinazione della quota del contributo di costruzione, per cui la semplice comunicazione di tale parere costituisce un mero atto informativo di un iter procedimentale ancora non concluso (Cons. Stato, Sez. V, 20/04/2000, n. 2424; Cons. Stato, Sez. V, 29/09/1999, n. 1205; Cons. Stato, Sez. IV, 22/02/1999, n. 209; Cons. Stato, Sez.VI, 09/10/1998, n. 1368; Cons. Giust. Amm. Sic., Sez. Giurisdiz., 08/08/1998, n. 459; Cons. Stato, Sez. IV, 12/12/1997, n. 1409; Cons. Stato, Sez. V, 07/03/1997, n. 219; Cons. Stato, Sez. V, 09/12/1996, n. 1492; Cons. Stato, Sez. V, 19/02/1996, n. 211; Cons. Giust. Amm. Sic., 31/05/1995, n. 214; Cons. Stato, Sez. V, 16/12/1994, n. 1512; Cons. Stato, Sez. V, 16/09/1993, n. 895; Cons. Stato, sez. V, n. 775/92; Cons. Stato n. 710/90; da ultimo, Cons. St., V, 16 dicembre 2004, n. 8094 e 29 luglio 2003, n. 4325).

Dunque, come chiarito dalla citata giurisprudenza, la mera comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale non può avere, né formalmente, né sostanzialmente, il valore provvedimentale di un atto di assentimento della concessione edilizia richiesta, ma, semmai, solo di un mero atto informativo di una fase dell'iter procedimentale, non ancora perfezionato.

4.1.1 - Tuttavia, la questione presa in esame dalla giurisprudenza medesima è concettualmente differente da quella qui trattata.

E' infatti evidente che, ai sensi dell'art. 4, comma terzo, della legge 28.1.1977, n. 10, l'atto formale di concessione deve contenere ( anche ) l'indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori e che, ai sensi dell'art. 11 della stessa legge, all'atto del rilascio della concessione, deve essere corrisposta, quanto meno, la quota parte di contributo afferente agli oneri di urbanizzazione; per cui la comunicazione pura e semplice del parere della C.E.C., non comprendendo o prescindendo da tali elementi (fissazione dei termini dei lavori; avvenuto pagamento degli oneri di urbanizzazione) non può equivalere a rilascio della concessione. 
Il profilo che qui viene in rilievo è peraltro diverso: trattasi di stabilire se, una volta che l'Amministrazione comunale, avendo comunicato il parere favorevole della C.E.C. ed avendolo implicitamente ma sicuramente fatto proprio con un atto in cui si comunica che la domanda “è stata accolta alle seguenti condizioni e prescrizioni …”, abbia o no espresso, in via definitiva, la propria valutazione in ordine alla compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento, con ciò consumando il relativo potere, con la conseguenza che resta precluso ogni ordinario futuro riesame di tali aspetti alla stregua di fatti e dettami sopravvenuti alla comunicazione stessa, ma anteriori al rilascio del documento concessòrio.

La risposta, a parere del Collegio, è positiva: nel caso in cui la determinazione abbia un contenuto complesso, riferito non solo al parere favorevole della C.E.C. ma anche alla manifestazione di volontà di accoglimento della domanda di concessione ( espressa dall’autorità competente: Sindaco o, nell’attuale assetto ordinamentale, organo dirigenziale ), il rilascio del documento formale di concessione edilizia, pur necessario, diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto ricognitivo, che conterrà altresì quegli elementi secondarii anzidetti ( quali la determinazione degli òneri dovuti ai sensi dell’art. 5 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e l’indicazione dei términi di inizio e fine lavori ex art. 4, comma 3, della stessa legge ), che incidono sull’efficacia della concessione medesima.

Avendo dunque, nella fattispecie all’esame, il Sindaco fatto proprio, con il citato provvedimento, la determinazione favorevole della Commissione edilizia ed avendo egli, per di più, formulato la relativa comunicazione come atto di accoglimento dell’istanza del privato, il procedimento amministrativo preordinato al rilascio della pretesa concessione edilizia dovevasi così ritenere concluso, come del resto si evince dalla veduta clàusola apposta a mò di chiusura della citata nota (“contro la determinazione suddetta è ammesso ricorso in sede giurisdizionale al Tribunale Amministrativo Regionale, ai sensi dell’art. 16 della Legge 28.1.77 n. 10” ), significativa del carattere di definitività del provvedimento stesso, arguibile anche dal riferimento espresso all’art. 16 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla base del quale l’atto in questione è qualificabile come “provvedimento col quale la concessione viene data o negata” e non certo come atto preparatorio od infraprocedimentale.

4.1.2 – Avendo, in conclusione sul punto, il Comune istruito completamente la pratica edilizia de qua sin dal marzo 1992 ed avendo così riscontrato in via definitiva, palesandola all’esterno, la legittimità dell’intervento proposto alla stregua degli strumenti e delle norme urbanistiche vigenti, esprimendo una espressa volontà di rilascio del richiesto titolo abilitativo (altri elementi secondarii, quali la determinazione degli importi dovuti per la quota parte di contributo riferibile agli òneri di urbanizzazione, potendo legittimamente fare oggetto di separato provvedimento: v. Cons. St., V, n. 4325/2003, cit. e n. 502/1998), il nucleo sostanziale del provvedimento concessòrio poteva ormai dirsi perfetto e definito; con conseguente diritto dell’interessato al mero rilascio del documento formale di concessione edilizia (questo sì completo degli elementi accessòrii, di cui si è detto), richiesto dallo stesso con l’atto stragiudiziale in data 11 agosto 2000, dal quale è invece scaturito il provvedimento oggetto del presente giudizio.

4.2 – Una volta così puntualmente qualificato l’atto sindacale del 1992, di cui si è ampiamente detto, un mero obiter dictum si rivela l’ulteriore affermazione del T.A.R., invero pòrta a titolo di  mera chiarificazione delle precedenti asserzioni circa l’intervenuta conclusione del procedimento di esame della compatibilità urbanistico-edilizia del progetto de quo e della portata delle conseguenze della già accertata illegittimità, secondo cui “il Comune ben avrebbe potuto ritornare sulle proprie determinazioni precedentemente assunte, rimettendo in discussione l’assetto degli interessi cui in precedenza era pervenuta, riassunto in un provvedimento perfetto ed efficace, ma ciò avrebbe potuto farlo solo ricorrendo ad un provvedimento di autotutela, attraverso un autonomo provvedimento, che nella specie non è mai stato posto in essere” ( pagg. 5 – 6 sent. ).

Sì che, nulla in sostanza aggiungendo detta statuizione al già completo iter motivazionale che la precede a sostegno della declaratoria di illegittimità dell’atto oggetto del giudizio, le doglianze avverso la stessa svolte con l’atto di appello ( ed in particolare quella, secondo cui il Verde nel ricorso di primo grado non aveva eccepito che l’impugnato atto di diniego potesse ritenersi adottato in violazione dei principii che regolano l’esercizio da parte della P.A. dell’istituto della autotutela ) si rivelano inammissibili.

Poiché, infine, l’ulteriore affermazione del T.A.R. (secondo cui,  “una volta cessata la causa di sospensione … il procedimento avrebbe dovuto riprendere nello stesso punto in cui era stato sospeso … [ e ] in particolare il Comune avrebbe dovuto limitarsi a rilasciare il titolo formale”: pag. 6 sent.) rappresenta da una parte il logico sviluppo della motivazione di accoglimento dell’unico articolato vizio dedotto con il ricorso originario  e dall’altra espressa pronuncia sulla domanda, con lo stesso fatta valere, di “riconoscimento del diritto dell’istante ad ottenere il materiale rilascio del titolo formale” (rientrante nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ex art. 16 della legge n. 10/1977), la specifica doglianza avverso la stessa proposta con l’atto di appello va respinta, dovendosi peraltro qui ribadire quanto sopra osservato ( v. punto 4.1.2 ) circa le conseguenze della intervenuta perfezione del “nucleo sostanziale del provvedimento concessorio”.

5. – In conclusione, essendo da condividere, nei términi di cui si è detto, l’accoglimento, che dell’unico articolato motivo dell’originario ricorso il T.A.R. ha operato ed appalesandosi, peraltro, inconferente ed irrilevante il sopra evidenziato obiter dictum del Giudice di primo grado, l’appello è da respingere.

Le spese della presente fase del giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, sono poste, come di régola, a càrico dell’appellante soccombente.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna il Comune di Quarto alla rifusione delle spese ed onorarii della presente fase in favore degli appellati, liquidandoli in Euro 3.000,00= oltre I.V.A. e C.P.A. per ciascuno di essi, pari a complessivi Euro 6.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.

Cessano gli effetti dell’ Ordinanza n. 488/05, di accoglimento della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 10 maggio 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Paolo Salvatore  - Presidente

Aldo Scola   - Consigliere

Vito Poli   - Consigliere

Anna Leoni   - Consigliere

Salvatore Cacace  - Consigliere, rel. est.

L’ESTENSORE                IL PRESIDENTE

Salvatore Cacace         Paolo Salvatore  

                               IL SEGRETARIO

                            Rosario Giorgio Carnabuci

depositata in segreteria 30 giugno 2005

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