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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 31 maggio 2006, n. 12968

La Suprema Corte accoglie il ricorso dei possessori di un fondo di proprietà comunale che avevano visto rigettata sia nel primo che nel secondo grado di giudizio la domanda volta ad ottenere l'accertamento dell’intervenuta usucapione del fondo a loro favore.

Secondo il Supremo consesso, la modificazione della destinazione del fondo attraverso un’attività costruttiva posta in essere da chi detenga il  materiale possesso della cosa è condizione sufficiente a determinare la interversione della detenzione in possesso, essendo riconducibile, tale ipotesi, a quelle che esternano l’intenzione del detentore iniziale di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (Cass. 69/92; Cass. 12569/93; Cass. 1802/95).

Una volta dimostrato che il possessore si comporti come proprietario, avendo, addirittura, cambiato la destinazione del fondo comunale e avendo sullo stesso esercitato l'ius aedificandi, spetta all’ente che si assuma proprietario fornire la prova contraria della sussistenza della mera detenzione.

Né vale a provare la mera detenzione la circostanza che il soggetto che ha il materiale possesso della cosa non adempie agli obblighi derivanti da un presunto rapporto obbligatorio in forza del quale detiene (doveri costituiti, nella specie, dal versamento di canoni di affitto).

In altre parole il fatto della mera detenzione, impeditivo del formarsi del tempus ad usucapiendum, non può desumersi in base all’inadempimento di eventuali obblighi nei confronti del proprietario.

La detenzione, cioè, non può essere forzatamente dedotta sulla base di circostanze diverse (l’inadempimento) da quella oggetto del factum probandum da cui derivava (cioè: il rapporto obbligatorio). Soltanto la prova di quest’ultimo, non fornita dall’ente convenuto nel caso di specie, può validamente confermare la permanenza della mera detenzione a scapito dell’interversio.


 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 31 maggio 2006, n. 12968

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. V. CALFAPIETRA - Presidente –

Dott. V. COLARUSSO - Rel. Consigliere –

Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere –

Dott. Ennio MALZONE - Consigliere –

Dott. Francesca TROMBETTA - Consigliere –

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

P. P., P. C., P. D., P. L., P. O., P. V., selettivamente domiciliati in xxxxxxx, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA MANNI, difesi dagli avvocati FRANCO IADANZA, ALFREDO IADANZA, ALESSANDRO BIAMONTE, giusta delega in atti;

- ricorrenti –

contro

COMUNE DI G. IN CAMPANIA, in persona del legale rappresentante e Commissario Straordinario pro tempore, selettivamente domiciliato in yyyyyyyyyyy, difeso dall’avvocato ROBERTO MARINEO, giusta delega in ati;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 262/02 della Corte d’Appello di NAPOLI, depositata il 28/01/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/04/06 dal Consigliere Dott. V. COLARUSSO;

Udito l’Avvocato MARIEO Roberto, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Eduardo Vittorio SCARDACCIONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 28.10.1999 rigettò la domanda proposta da T., D., C., V., O. e L. P. contro il Comune di G. in Campania, volta ad ottenere il riconoscimento dell’avvenuta usucapione da parte loro di un fondo di proprietà dell’Ente convenuto.

Avverso la sentenza P., C., D., L., O. e V. P. proposero appello che è stato rigettato dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 28 gennaio 2002.

La Corte, premessi (per quale che ancora interessa) i principi in materia di usucapione di beni facenti parte del patrimonio disponibile dell’Ente territoriale e sulla interversione del possesso da parte del detentore, ha osservato che P. P., dante causa degli attori, versava al proprietario del fondo un canone di affitto. La Corte, in definitiva, dall’esame degli elementi acquisiti in causa, ha tratto il dubbio sulla sussistenza del possesso autonomo del fondo da parte del P. e dei suoi aventi causa, elemento fondamentale per il maturarsi dell’usucapione. L’incertezza deriva(va) soprattutto dalla non investigata situazione del fondo all’atto della vendita al Comune e dell’insicuro riferimento dei testi escussi al fondo stesso piuttosto che ad altri vicini.

Avverso tale sentenza P., C., D., L., O. e V. P. hanno proposto ricorso per cassazione con unico motivo articolato in più censure. Il Comune di G. in Campania resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti, nell’unico motivo, premessa la nozione del possesso utile per l’usucapione, sostengono che la sentenza impugnata è pervenuta a conclusioni non sorrette da adeguata motivazione ed in base ad argomentazioni contraddittorie essendo stata erroneamente ricostruita la situazione possessoria. I documenti esibiti nel giudizio di primo grado dal Comune non erano stati congruamente intesi e la delibera di utilizzazione del fondo, mai entrato nel possesso del Comune, non costituiva fatto impeditivi dell’acquisto per usucapione o interruttivo del possesso. Le dichiarazioni del P. O. erano state valutate contraddittoriamente, peraltro attribuendo a costui conoscenze giuridiche e padronanza di linguaggio tecnico che egli non poteva avere. La motivazione relativa alle conclusioni tratte dall’apprezzamento delle prove testimoniali era perplessa, lacunosa e contraddittoria. Erroneamente, se di detenzione si trattava, non era stata ravvisata l’interversione del possesso nell’attività costruttiva posta in essere sul fondo ed, in ogni caso, la prova della detenzione spettava al Comune che l’aveva allegata, avendo i P., per parte loro, provato l’esercizio del potere di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio del diritto reale. La prova della detenzione, riferita a contratti validamente instaurati, non era mai stata fornita dal Comune. Il giudice di appello, al fine di accertare la sussistenza del possesso utile all’usucapione, avrebbe dovuto valutare tutte le dichiarazioni testimoniali e, quindi, le loro concordanze e discordanze, e non fermarsi all’esame solo di alcune di esse, peraltro neppure esaminate compiutamente.

Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni che si diranno.

1. La sentenza ha affermato che le deposizioni testimoniali “convincono per il materiale godimento… fino alla modificazione della destinazione del fondo con costruzione… ecc…” indi ha valutato le dichiarazioni del teste G. (il P. P. pagava un canone)e quelle del teste A. (dell’immobile erano proprietari in parte il Comune ed in parte altri). La Corte, poi, dopo aver affermato che spettava al Comune dare la prova del rapporto obbligatorio sotteso al (alla prova del ) possesso, afferma che se il “detent6ore” del fondo nei confronti dell’acquirente prova di non aver nulla corrisposto al nuovo proprietario (nella specie il Comune e se questi ha omesso ogni iniziativa per azionare il suo credito, non resta, con ciò provato il possesso valido ad usucapionem.


 

Così argomentando, da un lato, la Corte di Appello ha dato per provato il possesso, ma, poi, essendosi “insinuato” (per usare stesso termine della Corte) un rapporto obbligatorio, ha ritenuto irrilevante che il Comune non abbia provato quest’ultimo rapporto (come era suo onere, secondo la corretta affermazione della stessa Corte) “in quanto la detenzione costituita dal materiale possesso” non si traduce in possesso per il fatto del mancato pagamento dei canoni e della mancata reazione del Comune proprietario. Il possesso, dunque, pur nella “provata realtà del godimento, dell’uso e dello sfruttamento esclusivo di un bene, come in facoltà del proprietario” e pure nella mancata prova del rapporto obbligatorio sottostante, è divenuto per la Corte, inopinatamente e grazie ad un salto logico, detenzione, e si è dato per dimostrato proprio ciò che (la detenzione) doveva essere – e non è(ra) stato – dimostrato dal Comune. Si tratta del classico circolo vizioso in cui la conclusione è vera ma la premessa (l’allegata ma non provata detenzione) non è dimostrata secondo i canoni fissati dalla premessa stessa.

1.a. In buona e definitiva sostanza, la Corte di Appello, nella sentenza impugnata (nel complesso, di non facile lettura):

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ha premesso che i P. si comportavano come proprietari avendo, addirittura, cambiato la destinazione del fondo costruendovi sopra;

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ha affermato che il Comune – il quale la allegava – aveva l’onere di provare il rapporto obbligatorio (e, si badi, che ciò era necessario proprio perché l’attività del P. corrispondeva al possesso, poiché, se di possesso non si trattava, non era necessario porre il problema del rapporto obbligatorio);

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ha anche sancito che il Comune non aveva fornito la prova di cui sopra ma che ciò diventava irrilevante (da rilevante quale era nelle premesse) perché la detenzione non si trasforma in possesso per il fatto che il detentore non adempie agli obblighi derivanti dal rapporto obbligatorio in forza del quale detiene, così che la detenzione, non provata da chi ne aveva l’onere, viene forzatamente dedotta sulla base di circostanze diverse (l’inadempimento) da quella oggetto del factum probandum da cui derivava (cioè: il rapporto obbligatorio).

2. Circa la mancata identificazione del bene, non emerge con chiarezza dalla motivazione se si tratti di una ulteriore – ed autonoma – ratio decidendi oppure se l’affermazione che“non vi è prova che il teste G. confondesse i fondi” è, da punto di vista motivazionale, un obiter dictum oppure (come pare leggendo a pag. 4, in fondo, della sentenza) un semplice riferimento utile a contrastare l’obiezione della stessa difesa P., che parlava di confusione dei fondi al fine di svalutare la deposizione proprio del teste G. riguardo al canone e, quindi, se la deposizione stessa sia stata considerata solo per il fatto che il teste aveva parlato del canone corrisposto dal P. P., senza chiarire a quale fondo il pagamento si riferisse.


 

Di scarso fondamento logico è, infine, l’affidamento probatorio conferito alle parole del P. cui si attribuisce la capacità di distinguere il “possesso autonomo dalla conduzione di un immobile” (e, quindi, dalla detenzione).


 

2.a. In sintesi, la criptica formulazione della sentenza non lascia comprendere con chiarezza se la mancata identificazione riguardi il bene posseduto o quello(i) per cui (non) veniva pagato il canone.


 

Per il resto, se si espunge dalla motivazione la poco chiara valutazione della testimonianza del G., “l’insicuro riferimento dei testimoni escussi a quelle, diversamente che ad altri fondi vicini dei P.” (pag. 6) resta una affermazione apodittica della Corte di Appello, priva di qualsivoglia giustificazione razionale.

3. Oltre alle evidenziate aporie e contraddizioni, la sentenza presenta una ulteriore lacuna (segnalata dai riconti) laddove, pur presupponendosi la necessità della interversione (della presunta detenzione in possesso), non è stata apprezzata a tal fine – e con i poteri del giudice di merito – l’attività costruttiva posta in essere sul fondo dai P..

3.a. Ed, infatti, secondo i principi più volte enunciai da questa Corte, la interversione della detenzione in possesso può avvenire, ove occorra, anche attraverso il compimento di attività materiali laddove queste diano il segno inequivocabile, e riconoscibile dall’avente diritto, dell’intenzione del detentore iniziale di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (Cass. 69/92; Cass. 12569/93; Cass. 1802/95).

4. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio (art. 385 u.c. c.p.c.).
 

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.


Così deciso in Roma addì 26 aprile 2006.


 

Il Consigliere est. Fto

Il Presidente F.to

Depositato in cancelleria 31 maggio 2006.

 

Scheda di approfondimento.

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L’attività costruttiva posta in essere dal detentore del fondo è sufficiente a determinare l’interversione del possesso.

1. La normativa.

Art. 1141 comma 2 c.c. “Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga ad essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore…”

Art. 1158 c.c.“la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni”

Art. 1164 c.c. “chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l’usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato”

Art. 1167 c.c.“l’usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno. L’interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l’azione diretta a ricuperare il possesso e questo è stato recuperato”

2. Il caso.

P.P.; P.C.; P.D.; P.L.; P.O.; P.V, aventi causa da P.P., pongono in essere una attività costruttiva su di un fondo, alterandone la destinazione. La proprietà del terreno viene nel frattempo acquistata dal Comune di G., il quale però non entra mai nel possesso del bene, né compie alcun atto che possa validamente considerarsi come interruttivo del possesso ai fini dell’acquisto per usucapione. Nel 1999 P., C., D., L., O., V., si rivolgono al Tribunale Civile di Napoli per chiedere l’accoglimento della domanda di dichiarazione dell’intervenuta usucapione e l’acquisto della proprietà ai sensi dell’art.1158 c.c.. Il Comune di G., costituitosi in giudizio, resiste eccependo la mancanza del possesso da parte degli attori; questi sarebbero, secondo il convenuto, dei meri detentori del terreno, ciò in virtù del fatto che il loro dante causa non aveva l’animus possidendi ed infatti pagava un canone di affitto al precedente proprietario, circostanza confermata da alcune testimonianze assunte. Il Comune, da parte sua, non è in grado di esibire alcuna documentazione probante riguardo alla sussistenza di un rapporto obbligatorio dal quale detta detenzione avrebbe tratto origine. I Giudici di merito, in primo e in secondo grado non accolgono la domanda. Gli attori propongono ricorso per Cassazione.

La soluzione accolta dalla Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. II, 31.05.2006, n. 12968).

La Corte di Cassazione ha ritenuto, viceversa, fondato il ricorso e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello partenopea in diversa composizione per le seguenti ragioni:

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Le testimonianze assunte convincono per la mancanza del possesso da parte dei ricorrenti solo fino al momento in cui non è stata posta in essere, da parte degli stessi, l’attività costruttiva. Di conseguenza, da quel momento in poi, è chiaro che si è realizzato un godimento esclusivo della cosa, secondo quella pienezza di facoltà che la legge attribuisce al proprietario. Detta attività costruttiva può atteggiarsi come elemento sintomatico (corrispondente a quell’opposizione fatta contro il possessore ai sensi degli art. 1141 e 1164 c.c.) riconoscibile dall’avente diritto, dell’animus del detentore iniziale di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente in nome proprio, vantando per se un diritto corrispondente al possesso, in contrapposizione a quello del titolare della cosa. In questo senso la Cassazione si era orientata anche con precedenti pronunce. (Cass. 1802/1995 La interversione della detenzione in possesso… si può realizzare anche mediante il compimento di attività materiali, ma è necessario che l'attività materiale sia tale da manifestare inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il potere esclusivamente nomine proprio…; Cass. 12569/1993; Cass. 69/1992).

 

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La Corte d’Appello ha astrattamente affermato che la prova della sussistenza della  detenzione a scapito del possesso deve essere fornita dal Comune. Tuttavia non ne ha tratto sul piano pratico le conseguenze. Pertanto ha dato per provato qualcosa che in realtà non era:  il Comune non ha mai percepito, dal momento dell’acquisto della proprietà da parte degli attori, alcun canone di affitto, né posto in essere comportamenti configurabili come atti d’interruzione dell’usucapione per perdita di possesso. Né, alfine, ha prodotto in giudizio una valida documentazione idonea a comprovare l'esistenza di un rapporto obbligatorio sottostante, dal quale si potesse evincere che siffatti comportamenti (i.e. mancato pagamento) integrassero gli estremi dell’ inadempimento dell'obbligazione assunta, e non già quelli del possesso utile all’usucapione ai sensi dell’art. 1158 c.c..

 

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La Cassazione ha dunque ritenuto che la Corte d’Appello abbia dato per provata la detenzione da parte dei ricorrenti sulla base di un salto logico, avendo prima affermato che il Comune doveva fornire la prova della detenzione, provando l’esistenza di un rapporto obbligatorio sotteso (cioè il rapporto di affitto); successivamente ha riconosciuto che il Comune non avesse fornito tale prova; infine, contraddicendosi, ha affermato che la stessa non era necessaria poiché la detenzione non si trasforma in possesso sol per il fatto che vengano pagati i canoni.

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